sabato 28 gennaio 2012

ICIO IL POSTINO

Per questo racconto devo chiedere scusa a tutti i lavoratori e in particolare alla categoria dei portalettere, di cui ho fatto parte per poche settimane nel lontanissimo 1995. Trattasi di racconto post traumatico. Non lo rinnego solo per il furore ispiratore che mi spinse a scriverlo...


ICIO IL POSTINO

C’è stato un tempo in cui anch’io lavoravo come ogni essere umano degno di rispetto, se di rispetto si può parlare quando si tratta di acquiescente e perpetuo sgobbare. Ero completamente succubo del sistema lavoro, sodomizzato dalla prassi, crocifisso dal grigiore alienante della routine. Questo momento infausto della mia vita aveva luogo cinque anni or sono, prima che decidessi di vendere l’appartamento ereditato dal mio defunto papà, la macchina e quel po’ di terra lasciatami sempre dal babbo dopo averci lasciato le penne tra le gambe di uno dei suoi troioni altolocati; era il periodo antecedente la scelta di trasferirmi a Cuba, a gestire insieme all’amico Bubba un bar sotto le palme di una spiaggia non lontano da Varadero. Gestire per modo di dire, visto che il sottoscritto Maurizio “Icio” Morselli e socio ci limitiamo tuttora ad alzare e abbassare le serrande del locale e a infilare i nostri turgidi uccelloni nelle passerine delle nostre cinque, sei, a volte sette (dipende dalla stagione) cameriere bariste, mulatte da favola che per descrivere la loro bellezza e le loro forme non basterebbe il più grande artista – sia esso uno scultore, un pittore o un poeta – mai esistito.
    Tuttimmodi non è l’attuale capitolo della mia vita che voglio trattare, bensì, come già anticipato, quel periodo di cinque anni fa in cui lavoravo, prendendo cazzi in culo tutto il giorno. Cosa facevo? Ero postino, o portalettere, o addetto al recapito postale, o come cavolo volete chiamare un tizio che gira per vie con quintali di lettere e troiate cartacee varie da consegnare al buon cittadino contribuente.
    Svolgevo il mio diligente lavoro a Cento, mio paese natale e residenza fino ad alcuni anni fa, visto che come detto mi trovo a Cuba già da un lustro. Ho imbucato posta per dodici mesi, dai ventidue ai ventitre anni, con un contratto a tempo determinato il quale mi veniva rinnovato ogni tot settimane, fino al giorno in cui accumulato il gruzzoletto dell’eredità paterna decisi, in maniera coatta e definitiva, di farla finita con quel mondo nauseante.
    “Un essere umano non può sopportare tutto questo senza impazzire!” mi ripetevo sempre più spesso. In effetti uno che non conosce la mia avversione alla monotonia non può capire quanto sia cerebralmente devastante farsi chilometri e chilometri di campagna (eh beh, essendo un novizio mi toccava oltretutto il giro più scomodo e faticoso!!!) su un Ciao sgangherato, sei giorni su sette, con il sole o con la pioggia, la nebbia o la neve, senza voglia o senza voglia; sempre lo stesso itinerario, le stesse facce di culo che hanno sempre qualcosa per cui lamentarsi, tipo la vecchia di via Geriatria la quale senza mai sbagliare un giorno mi chiedeva che fine aveva fatto il postino che c’era prima della mia assunzione: “Perché non c’è più Carlo? Era così gentile, loquace e disponibile, mica come lei che non parla mai e neanche saluta”. Io non sapevo nulla di Carlo ma il giorno che l’esasperazione prevalse sul mio innato menefreghismo le dissi: “Signora, Carlo si è impiccato. E’ contenta adesso?”. Smise così di rompermi i coglioni con Carlo. Quello stesso giorno, rientrato in ufficio, chiesi ad un collega: “Che fine ha fatto Carlo?”. “Si è buttato sotto un treno in corsa. E’ morto… aveva un forte esaurimento” mi fu risposto. Poveraccio. Vittima dell’accumulo di lavoro. Era chiaro che sarei finito così anch’io se fossi rimasto a lavorare in Posta altri cinque, dieci, venti, trent’anni. Non sai mai quando il cervello di un lavoratore andrà in tilt, sai solo che un giorno prima o poi ci andrà, punto e basta.
    Le prime avvisaglie, i primi sintomi di forte disagio li accusai quando mi resi conto dell’odio  profondo che provavo per i cani, io che i cani li ho sempre adorati. Forse la categoria dei portalettere è destinata a odiarli dopo un po’; si è portati a sperare con tutto il cuore che mentre ti abbaiano con rabbia e ti inseguono cercando di azzannarti i polpacci lungo strade polverose, si possano impalare contro un albero per rimanerci secchi, quadrupedi bastardi. Ma i veri sintomi di una concreta instabilità mentale li accusai pressappoco dopo nove mesi di schiavitù dentro e fuori l’ufficio postale di Cento: il serial killer che c’è in ognuno di noi era in fase embrionale e di lì a tre mesi mi avrebbe fatto compiere l’Insano Gesto. Dopo mi attendeva l’evasione in paradiso, nel mio mondo ideale, interiore ed esteriore. In quel periodo infatti, iniziai a gettare nell’immondizia le lettere che reputavo importanti destinate a persone che per dirla senza perifrasi mi stavano sul cazzo, avvelenai con polpettine al cianuro due o tre cani di zotici contadini, imbucai in molte cassette della posta lettere minatorie, topi morti, rane vive, persino siringhe con bigliettini con su scritto “salve, sono mister Aids”. Stavo impazzendo completamente. Quando in un lampo di lucidità (eccezionale se penso al crescente delirio cui ero in preda) mi resi conto che non potevo farla franca ancora per molto e che presto sarei sicuramente incappato in guai seri, decisi di congedarmi, non prima però di aver “messo in scena” l’Insano Gesto.
    Mio padre era morto da circa cinque mesi e appena incassati i soldi provenienti dai beni del defunto genitore, prenotai il volo per Cuba, solo andata. Ero d’accordo con Bubba che mi avrebbe raggiunto appena possibile dopo essersi licenziato dalla fabbrica di cotton fioc dello zio.
    Il pappone di una delle zoccole che si portava in casa papà quand’era vivo, figa che anch’io ogni tanto ripassavo approfittando delle assenze del vecchio per impegni di lavoro, riuscì a procurarmi una squadra di lavavetri albanesi di otto elementi, tutti a mia completa disposizione per una cifra più che ragionevole. Si presentarono a casa di Bubba (ero suo ospite da qualche giorno visto che avevo venduto l’appartamento) con due furgoncini rubati. Salii su uno dei due automezzi di fianco a un tipo talmente losco che provai un brivido di paura e disagio quando accennai un “ciao ragazzi” e il suo sguardo rimase bieco e impassibile. Spiegai il piano e ci recammo a casa di Ugo, un contadino amico di mio padre quella settimana lontano da casa per un ricovero ospedaliero. Ci procurammo l’occorrente e ci dirigemmo all’ufficio postale; erano le quattro e trenta della mattina, quattro ore dopo avevo l’aereo per Cuba. In giro non c’era nessuno, la notte era fredda e brumosa e il lavoro che realizzammo fu impeccabile, da veri professionisti. Mi feci riaccompagnare a casa, pagai gli albanesi dopodiché Bubba mi accompagnò al Marconi di Bologna; ci salutammo con una strizzata d’occhio e prima di imbarcarmi mi raccomandai: “Non dimenticarti i giornali di questi giorni eh?!”. “Don’t worry! Ti porterò anche le cassette registrate dai telegiornali” mi assicurò il mio mentore.
    Dieci giorni dopo Bubba mi raggiunse. Io mi ero già prodigato per contattare un paio di persone che ci avrebbero aiutato ad avviare la nostra nuova attività di barman scopatori e stavo solo aspettando che il mio socio mi venisse a dare manforte. Andai a prenderlo all’aeroporto; mentre su una sgangherata Buick del ’59 ci dirigevamo nel nostro alloggio provvisorio a L’Avana, Bubba mi disse: “Sei stato un grande Icio! L’Italia intera sta ancora parlando della tua impresa”. A quel punto non stetti più nella pelle. Accostai la macchina ad un marciapiedi e mi feci passare una pila di giornali che l’amico teneva custoditi in uno zaino. Mi bastò leggere poche righe della prima pagina del primo giornale del mucchio per avere conferma di quanto detto poco prima da Bubba: sì, ero stato un grande e la società civile e moderna e produttiva e coscienziosa, da allora in avanti mi avrebbe baciato il culo… “UFFICIO POSTALE DI CENTO COMPLETAMENTE RIVERNICIATO A LETAME”; “Nella notte ignoti imbrattano l’intero edificio con quintali di sterco: goliardata di pessimo gusto o vendetta? Gli inquirenti sono al lavoro”; “Lasciato messaggio di escrementi sull’asfalto antistante l’ufficio: BUON LAVORO A TUTTI!!!”.  
                          

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