mercoledì 11 gennaio 2012

Periodo Maledetto

I tre racconti preistorici che posto oggi fanno parte di quello che definisco il Periodo Maledetto, dove inquietudine, debolezza e un temperamento autodistruttivo trasudavano da ogni frase. Ma rileggendoli a distanza di tempo vi trovo anche una gran voglia di ribellione contro un mondo mediocre: queste parole erano un grido che giungeva dagli anfratti più reconditi dell'anima e che diceva: NON SARO' ANCH'IO UNA MARIONETTA COME TUTTI GLI ALTRI... SE SOPRAVVIVERO' A QUESTA TEMPESTA VEDRETE...


RIFLESSIONI


Sai una cosa Sal?! Questa sera sono uscito di casa lucido e sobrio per la prima volta dopo mesi, e sai cosa ho scoperto? Le persone sono tutte insopportabilmente noiose. Temo che la mia strada non avrà alternative: mi autodistruggerò! Certo, lo so che è la via dei perdenti, ma non me la sento di affrontare una realtà così squallida. Almeno quando sono “fuori” posso fronteggiare a spada tratta tutte le scempiaggini e quella sensazione indefinibile di vuoto e devastante monotonia che esce dalle bocche della gente che mi circonda.
    Come dici? No amico, non sono un megalomane spocchioso. Sono solo un illuso forse, uno che aspira ad una vita più completa, certamente non in senso materiale. Cosa? La società è il mio nemico? Può darsi, però ti prego, lasciamo stare la società: ormai so com’è strutturata e l’ho sentita nominare talmente tante volte che adesso mi viene la nausea se ritiri fuori questa solfa . Penso tutt’al più che il mio vero nemico ce l’abbia dentro, nascosto da qualche parte, un verme subdolo da estirpare se non voglio morire davvero presto.
    Forse dovrei smetterla di farmi delle domande e anche di cercare per forza delle risposte, ma guarda caso, oggi che non sono fatto di qualcosa non riesco a non perdermi nelle riflessioni. Lo so Sal che tu mi capisci; e chi altri potrebbe!? Guardati, sembriamo uno la fotocopia dell’altro: stessi occhi vacui, stessi capelli scompigliati, stessa faccia pallida e provata. Beviamo e ci facciamo per riuscire a sopportare il peso del mondo, ebbene?, ti consideri un perdente? Non rispondi eh!   Scusami vecchio mio, ma almeno da te mi aspetterei una qualche risposta, dopo tutto viviamo la stessa vita, facciamo le stesse cose, leggiamo gli stessi libri. Vedo qui in camera i vari Pirandello, Sciascia, Calvino, Hemingway, Hesse, Kafka, Golding, Wilde; i figli di puttana (come ci piace definirli): Henry Miller, Leary, Bukowski, Carroll, Kerouac, Welsh, Burroughs. Stessi gusti e stessa personalità squarciata. Ricordi quando ti confidai che scrivo sempre sull’orlo di un burrone? E meno scrivo, più rischio di caderci dentro? Paura dell’oblio, dell’insulsaggine, del non riuscire a “dare prima di andare”. Gara contro il tempo (il treno della morte), per lasciare un’impronta, sia pure minima e quasi intangibile, su questo mondo.
    Forse un giorno sarò io a voler giungere al capolinea prima del tempo, proprio per non aver più nulla da dire o da dare… mmm… no, no non è possibile, sul treno della morte si incontrano situazioni e a volte pure persone troppo curiose per sfracellarsi al suolo prima della stazione: la vita è sempre e comunque evoluzione.
    Merda! Sto iniziando a mal sopportare persino te Sal, quindi se mi concedi un momento, vado a fumarmi uno spino e a farmi una birretta giù in cucina. Torno presto, non ti preoccupare. Dobbiamo ancora finire di parlare.

Rieccomi qui vecchio amico. Credevi non tornassi più? E come potrei vivere senza te, senza i tuoi consigli?! Certo che siamo strani noi due. Anarchici fuori e assetati di serenità dentro, lacerati e laceranti, santi e blasfemi, pazzi e razionali. Chi sei tu in realtà? Se ti perdessi chi o cosa diverrei? Sono forse un Dorian Gray e tu il mio ritratto? Domande, domande, domande, sempre domande. Ora me le pongo anche se sto cercando di cuocermi il cervello. Sal, Sal, mio caro Sal, se mi lasciassi solo per lo meno non sarei così straziato dalle domande; forse sarei uno dei tanti, un burattino, ma al giorno d’oggi si sa, meno si ragiona meglio si sta. Invece non mi lascerai mai e vivremo perennemente dall’altra parte della barricata, là dove non batte il sole, nella minoranza, perché noi stiamo bene solo con i Pochi, non con i Tanti.
    La canna e la birra che mi sono sparato mi hanno reso più introspettivo del solito: male! Devo aumentare le dosi. Voglio che tu sappia che se speri di tornare a parlare faccia a faccia, ne aspetterai di tempo!, ché riflettere con te mi fa troppo male. E poi mi dai l’impressione che guardandoti così da vicino, attraverso questo specchio sudicio, tu ti stia rovinando. Sei molto meglio quando sei fuori, fuori dalla realtà, l’unico territorio entro cui possiamo vivere a nostro agio.


CINEFESTIVAL CHATTANOOGA


Per gli amici sono semplicemente Emme, in realtà mi chiamo Esse e sono originario di Q, anche se da anni vivo a Erre. Magari vi starete chiedendo cos’avrà mai da raccontare un personaggio tanto anonimo quale io sono, ma capirete ora che per quanto frivolo, ho avuto il privilegio e la fortuna di assistere al videoclip più geniale, spontaneo ed emotivamente coinvolgente mai visto. Purtroppo questo capolavoro di arte visionaria e viscerale è andato perduto per sempre e dubito di poterlo apprezzare nuovamente nella sua intensità, dato che era soltanto una proiezione virtuale del mio cervello innescata da una serata di eccessi tossici di vario tipo che hanno alterato il proiettore della mente, distorcendo immagini e simboli nel cortometraggio più pregnante della storia del cinema mondiale indipendente, o se vogliamo individuo-dipendente. Non essendo un regista non posso neppure tentare di trasferire il Sogno su pellicola, ma anche se avessi i mezzi, se fossi in pratica una sorta di artista, non riuscirei mai a rendere universali e tangibili un profluvio di emozioni come erano a livello onirico. Proverò però, anche se in maniera elementare (dopo tutto sono pur sempre Esse, Emme per gli amici) di illustrarvi ciò che vidi.
    Ero al Chattanooga  con John Holmes e Vasco. Il Chattanooga è un locale, un disco pub, dove per ogni drink ordinato te ne vengono offerti due gratuitamente; inoltre circola al suo interno ogni tipo di droga e vi giuro su A e B che ho visto più sbirri farsi delle canne là dentro che hippies a Woodstock , eppure il Chatta tira avanti che è un piacere, facendo soldi a palate e senza mai incappare in fastidiose noie legali.
    Che vi spieghi chi sono John Holmes e Vasco non ha molta importanza: sono due comparse come potrebbero essere Elle e Effe. Vi basti sapere, a titolo informativo, che John Holmes è il soprannome di T, così detto per le dimensioni del suo pene, pene la cui leggenda vuole rasenti i trenta centimetri (come quello del famoso pornodivo defunto, come si narra); mentre Vasco è proprio lui, Vasco Rossi da Zocca, cantante e poeta, almeno così crede U da quando ha preso la scossa lavorando su un palo della luce dell’Enel.
    Tornando a me, sono dunque al Chattanooga. Ho già bevuto quattro cocktails tutti d’un fiato, tra i quali il meno alcolico avrà avuto quaranta gradi e mi sto fumando uno spino quando… dallo stereo tenuto a tutto volume parte una martellante canzone dei Chemical Brothers: “Hey boy hey girl”. Contemporaneamente il film ha inizio:
    Emme, il protagonista, si trova in un ambiente cupo, ammantato dall’oscurità delle tenebre; solo il suo volto e parte del busto sono distinguibili. Si accende una sigaretta e la luce della fiamma dell’accendino illumina più intensamente uno sguardo tenebroso che rimanda a quello del mitico Humprey Bogart. Dopo un paio di tiri, la telecamera immaginaria inquadra i suoi occhi in primissimo piano. A questo punto partono vari flashback: 1) Vestito da ballerina sto esultando in un’esplosione di rabbia e felicità per aver segnato un gol ad un sottosegretario di un qualche ministero in tenuta da caccia; 2) Nudo, sorvolo con un deltaplano un’ipotetica città medievale mentre masturbandomi faccio piovere una tempesta di sperma sugli abitanti sottostanti; 3) Sono in compagnia di John Steinbeck e Francis Scott Fitzgerald e stiamo brindando alla faccia di William Faulkner; 4) Sniffo cocaina con una banconota da dieci milioni di dollari e intanto un ippocampo gigante vagamente rassomigliante a Nelson Mandela mi offre un bicchiere di tequila; 5) Ho l’uccello infilato in una presa di corrente ed eseguendo ritmici movimenti pelvici seguo alla tv una puntata del “Maurizio Costanzo Show” condotto da Groucho Marx; 6) Mi trovo in discoteca e ballando emetto scoregge che nel giro di pochi istanti svuotano l’intera sala da ballo; 7) Partecipo in lacrime al funerale di mia madre, capeggiando un corteo funebre composto esclusivamente da donne obese che sghignazzano; 8) Impreco e bestemmio mentre accatasto scatoloni contenenti capezzoli femminili in una fabbrica sotterranea; 9) Sto galoppando a gran velocità tra le dune di un deserto mentre arabi travestiti da suore mi inseguono su lenti cammelli a sei gobbe. Qui finiscono i flashback e con ancora la colonna sonora dei Fratelli Chimici in sottofondo ritorna l’immagine iniziale. La sigaretta che stava fumando Emme è quasi finita; dà l’ultimo tiro e viene abbagliato da una luce verdognola potentissima che sfuma la scena conducendo direttamente all’epilogo: sul selciato di un plumbeo parcheggio antistante un ipermercato, la telecamera mentale zooma velocemente su un foglio stracciato trasportato dal vento; si riescono a leggere due lettere su quel foglio: Esse e Emme.
    La canzone è finita. Il film è finito. Sapete cosa ho fatto subito dopo? Ho salutato John Holmes e Vasco e barcollando sono corso (per quanto potessi correre ebbro com’ero) a casa. Non potevo permettermi di lasciar fuggire quell’ allucinazione dalla mia mente. Come per catturare un sogno, che man mano che il tempo passa sfuma nell’oblio quasi totale dei particolari, avevo la necessità di sviluppare subito la pellicola cerebrale. Come? Mettendo per iscritto quanti più dettagli potevo. Ma, come non potrei mai immortalare quei fotogrammi con una telecamera, non posso neppure pretendere di farlo con un foglio e una penna. Comunque sia ho visto, tra virgolette, un’opera d’arte che nessun altro al mondo vedrà mai. Pure, penso che sarei capace di interpretare il significato ancestrale di ogni simbolo che appare in essa se ci riflettessi sopra approfonditamente. L’unico grosso enigma da decifrare è questo: quando sono partiti i titoli di coda, il regista del mio delirio veniva indicato con il nome di Simone Manservisi. Chi è?


TESTAMENTO DI UN CATTIVO MAESTRO


Eccomi qua, disteso su questo tetro giaciglio di morte, immerso nel buio astratto di una stanza un tempo cara; i parenti intorno anziché sostenermi l’animo, non fanno altro che accelerare – con il loro malcelato dolore – il processo del mio lento e inesorabile spegnimento. Sembra quasi di assistere a un filmucolo strappalacrime.
    Sì, sono stato un personaggio scomodo durante la breve esistenza che mi ha visto protagonista e sono sicuro che nonostante tutto, la mia scomparsa lascerà costernate moltissime persone, però, immaginando il mio funerale, credo che saranno pochi coloro i quali verranno colti da un maggiore senso di affannosa perdita: quei pochi che avevano capito l’immensa positività del mio essere. La positività di un pensiero che ha sempre divulgato spiritualità e amore per la vita , a contrario di quanto hanno sempre pensato – e sempre penseranno – i Viswows, alieni terrificanti che continueranno a dipingermi solo come un disadattato, drogato, blasfemo, materialista…
    Si conteranno sulle dita di una mano gli amici che parteciperanno, INSIEME A ME, al mio corteo funebre, mentre i Viswows sotto le loro belle maschere modello lutto tratterranno a stento esplosioni di giubilo. Sputeranno forse sulla mia tomba quando sapranno di non essere visti da nessuno, ma io voglio dirvi questo cari Viswows: le vostre microscopiche menti non coglieranno mai gli aspetti più importanti e significativi della vita come invece ho fatto io, che ho VISSUTO, imparando ad amare al di là di ogni immaginazione, soffrendo, morendo più volte (concetto a voi sconosciuto – la morte – in quanto nascete già morti), crescendo, emozionando, carpendo giorno dopo giorno il SENSO; mentre voi rimarrete per sempre avvolti nel vostro guscio, coccolati dal tepore di un’incommensurabile insipienza, tipica dei Viswows.
    Certo però che mi dispiace! A trent’anni non avrei mai pensato di morire. Con lo stile di vita sregolato che conducevo non avrei sicuramente mai scommesso di superare i cinquanta, ma trenta!, vabbè in fin dei conti sono riuscito ad essere e a fare sempre quello che volevo. Provo grande dispiacere solo per mia madre, mio padre e i miei fratelli; loro che in questo momento non possono nemmeno immaginare il male che mi fanno con i loro sguardi afflitti, proprio loro, i miei cari, che anche se spesso si indignavano per i miei atteggiamenti provocatori, sapevano e sapranno che c’è una luce nel cuore degli uomini (non dei Viswows!), una luce che resta accesa anche nelle notti più lunghe. E’ proprio quella la luce che intendo lasciar loro in eredità, insieme ai miei pochi soldi, i quali spero basteranno per pubblicare il mio ultimo e “definitivo” libro e per indire il premio letterario “Fuck the world”, dedicato alla mia memoria, alla vita di Jack Infradito, inventore del New Beat, e aperto a tutti coloro che amano e sanno cos’è l’amore, a tutti quelli che danno gran valore alla propria crescita spirituale, che sono sinceri e veri, che rispettano gli uomini e combattono i Viswows. La mia esperienza qui con voi è stata breve ma proficua. Ho provato l’amore e esaltato il sesso; ho amato uomini e donne; ho usato droghe e combattuto l’establishment; ho avuto l’onore di sentirmi unico in un mondo che annulla l’individuo per darlo in pasto ai Viswows. Chiudo gli occhi, sono troppo stanco. Domani il sole spunterà di nuovo, ma nessuno se ne accorgerà. 



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