lunedì 19 dicembre 2011

IL VIRUS DEL SILENZIO

In questo racconto si notano alcuni temi ricorrenti nei miei scritti: l'omologazione e il "Nulla" che tengono ancorata l'umanità ad un livello di sottosviluppo mentale e spirituale avvilente. Anche le paranoie di un cervello labirintico (il mio!) hanno influenzato questa breve incursione nel... mondo che verrà: scrissi "Il virus del silenzio" in piena  guerra contro l'Iraq, con l'Occidente pressato da una continua minaccia terroristica ovviamente amplificata dai media. Il potere di tv e giornali è talmente grande che può farti vedere una bomba atomica nello zainetto del tuo vicino di autobus. Soprattutto se ha lineamenti e colore della pelle diversi dal tuo. Ecco dunque che nasce la riflessione sulla forza subliminale del Grande Fratello, capace di influenzare i comportamenti umani tramite la manipolazione della realtà fino all'annullamento del pensiero.


IL VIRUS DEL SILENZIO


Quella sera stavo guardando il telegiornale di Canale 5. Un servizio aveva appena messo in risalto la codardia genetica del nostro paese nel prendere una decisione che non scontentasse troppo gli “amici potenti” per quanto riguardava l’intervento armato in Iraq. Subito dopo Toni Capurzo, inviato di punta del tg mediaset, compariva in tuta bianca e maschera antigas davanti all’ospedale Santa Candida di S.
    “In un reparto speciale sono state ricoverate una decina di persone” riferiva. “Presentano tutti vertigini, cefalea, confusione psichica, nausea e diarrea. Costoro, quattro donne e sei uomini, si trovavano  alla fermata “Luigi Pirandello” della metropolitana quando un uomo di origine yemenita ha estratto dal cappotto una bomboletta spray spruzzandone il contenuto nell’aria e gridando contemporaneamente “Morte all’Occidente”. Le forze speciali di polizia lo hanno freddato con cinque colpi di pistola…”
    La notizia e il filmato erano appena giunti in redazione. Capurzo cercava di dissimulare una certa angoscia e spiegava che il gesto poteva essere, visto che al momento non c’era ancora nessuna certezza, sia l’azione isolata di uno squilibrato sia un atto terroristico ponderato e messo in atto da Al Quaeda o da qualche movimento fondamentalista islamico. Il contenuto della bomboletta era ancora sconosciuto e i sintomi riscontrati nei malati potevano appartenere ad almeno sei o sette differenti patologie virali.
    Abbassai il volume del televisore cercando di non pensare a nulla, ma una conclusione mi passò inevitabilmente per il cervello: prima o poi il mondo si sarebbe autodistrutto; i segnali c’erano già da troppo tempo.
    Erano le venti e quindici. Mi preparai una cena veloce a base di tonno in scatola, piselli in scatola e uova in… scatola, mangiai, apparecchiai per Lisa che sarebbe rientrata dal lavoro verso le ventuno e trenta e me ne andai a letto, troppo stanco per qualsiasi altro sforzo fisico o cerebrale. Di fatti mi addormentai subito ma non tardai molto a risvegliarmi, angosciato fin quasi l’anchilosi a causa di un incubo terribile: ero rimasto l’unico sopravvissuto di una guerra nucleare. Oltre a me a popolare la terra c’erano solo morti viventi, disgustose creature che mi davano la caccia per offrire il mio cervello in sacrificio al loro idolo feticcio, un’ enorme marionetta di legno con tre teste appartenenti a George W. Bush, Saddam Hussein e Karol Wojtyla.
    Sudato e scosso guardai la sveglia: le ventuno e quaranta. Lisa non era ancora rientrata ed io non avevo più sonno cosicché andai in cucina a versarmi un calice di vino rosso, accesi una sigaretta e cercai di rilassarmi stendendomi sul divano del salotto. Accesi il televisore. Non funzionava, il contatore era saltato o avevano tolto la corrente. Guardai fuori dalla finestra; dal terzo piano della palazzina dove io e Lisa vivevamo da quando ci eravamo sposati sei anni prima non si vedeva altro che buio, oscurità totale mista ad una leggera bruma. C’era stato un black-out, ma ciò che era davvero singolare era il silenzio, la calma piatta che pareva avviluppare tutta la città come una cappa di smog in certe giornate afose.
    Accesi una candela e mi riaccomodai sul divano. Alle ventidue Lisa era ancora fuori casa così pensai di chiamarla al cellulare: “La persona da lei chiamata non è al momento raggiungibile, la preghiamo di riprovare più tardi” mi riferì la voce registrata proveniente dal telefono.
    Poco dopo la stanchezza ebbe di nuovo la meglio e caddi in un sonno profondo, questa volta privo di incubi o sogni. Mi risvegliai solo quando la tv riprese a funzionare da sola, dato che era tornata la corrente e probabilmente non l’avevo spenta quando era sopraggiunto il black-out.
    Quello che accadde subito dopo mi frastornò non poco. Dallo schermo giunsero immagini come fossero frecce, dardi infuocati che colpivano ogni parte del mio corpo: centinaia, migliaia di zombie stavano gridando deliranti ad un concerto di Britney Spears.
    Strofinai gli occhi sperando fosse tutto un’allucinazione ma così non era, erano proprio zombie e anche la Spears non sembrava propriamente umana. Forse si trattava di un film o una trovata per un videoclip. Certo, che stupido!, non poteva essere che così. Cambiai canale: il Maurizio Costanzo Show era condotto da uno zombie grasso e pelato, zombie erano gli ospiti, come zombie erano i raccapriccianti esseri che riempivano la platea. Stavo sognando? Cambiai ancora canale e il primo piano di un morto vivente in avanzato stato di decomposizione mi fece trasalire. Aveva capelli di un rosso spento, un accento cacofonico e profondi solchi purulenti sul viso; un occhio gli si staccò dall’orbita destra: era Aldo Biscardi!
    Guardai che ore erano dal quadrante luminoso del registratore accanto al televisore: l’una! E Lisa?! Dove si era cacciata Lisa? Facendo uno zapping disperato con il telecomando per trovare qualche traccia di umanità sul teleschermo incappai nell’edizione notturna del telegiornale di Rete Provincia 59. Una giornalista zombie parlò con voce metallica attraverso un microfono malamente appuntatole con uno spillone da balia allo zigomo sinistro: “… e auguriamo a tutti un buon proseguimento con i nostri programmi” stava dicendo.
    Spensi la tv e barcollai fino alla finestra. Notai che era ancora buio pesto fuori, eppure l’elettricità in casa non mancava. Richiamai Lisa e nuovamente la voce registrata, più nasale e incerta della prima volta che la udii, ripeté la solita nenia.
    Cominciò ad assalirmi un senso di panico. E se tutto quello che stavo vivendo fosse la conseguenza di un attacco chimico o batteriologico da parte dell’Iraq o di Bin Laden o di un qualche pazzoide estremista? A distogliermi da quei pensieri sopraggiunse il suono del campanello della porta. Mi precipitai ad aprire: Lisa!
    “Che è successo Amore? Come mai rientri a quest’ora e non mi hai avvertito?” le chiesi.
    Era emaciata, le occhiaie che cerchiavano i suoi solitamente vispi occhi castani sembravano pitturate con un pennarello nero. La confusione pareva adombrare la sua persona.
    “Sono stata sequestrata dalla polizia Alex! Io e tredici colleghi dei magazzini “Tyler & Capone”. Sono entrati in assetto antisommossa, alcuni erano vestiti con delle specie di scafandri e respiravano attraverso bombole di ossigeno. Ci hanno prelevati e ci hanno internati in una stanza del distretto di polizia. Dottori del Santa Candida ci hanno fatto delle domande, tantissime domande, domande a volte incomprensibili a volte stupide e banali: Cosa pensi della politica di analfabetizzazione perpetrata dai governi per il controllo globale del libero pensiero? Che differenza c’è la “Supercazzora” ed Enrico Ghezzi? Ti piace Nanni Moretti? Mai letto niente di Achille Campanile? Preferisci il vino rosso o il succo di frutta ACE? Credi nell’aldilà? E nell’esistenza del cimitero di Spoon River? Conosci il Sarcoma di Kaposi? Eccetera eccetera. Ma ti pare che io possa conoscere il Sarcoma di Kaposi che non ho mai preso una sufficienza in matematica!
“Ci avranno subissati con un migliaio di domande a testa e alla fine hanno detto che nessuno aveva superato il test, aggiungendo che forse siamo stati tutti contagiati!”
    Scoppiò in uno stillicidio di singhiozzi accompagnati da un profluvio di lacrime che durò per cinque minuti abbondanti. Cercai di calmarla e quando notai che si stava un po’ tranquillizzando le chiesi cosa intendesse per “contagiati”.
    “Hanno detto che un virus chiamato virus del silenzio ci ucciderà tutti, oh mio dio! Dovremo fare degli accertamenti all’ospedale nei prossimi giorni.”
    Detto questo riesplose in un pianto inconsolabile. Non sapevo cosa dire così versai due calici di vino rosso e gliene porsi uno. Trangugiammo d’un fiato il contenuto fruttato e ripetemmo l’operazione un paio di volte. Quando provai di indagare più approfonditamente sulla serata da incubo passata da Lisa era ormai addormentata sul divano con le mie cosce che le fungevano da cuscino. Di lì a poco, stordito, anch’io mi addormentai.

    Il mattino seguente era sabato. Lisa non era di turno ai magazzini “Tyler & Capone” ed io, beh, sono un caso patologico di aspirante scrittore; da tre anni cerco di scrivere il Grande Romanzo ma l’ispirazione mi abbandona sempre sul più bello lasciando campo libero allo sconforto. Avremmo quindi trascorso la giornata insieme.
    Due bottiglie di Chianti giacevano vuote accanto ai calici sul tavolino di vetro di fianco al divano. Io ero sotto la doccia a pormi mille interrogativi riguardo la notte precedente: Era possibile che Lisa fosse stata sequestrata dalla polizia? Era possibile fosse vero tutto ciò che mi aveva raccontato? Era stato un sogno? O meglio, un incubo? Un delirio alcolico? Presto lo avrei saputo.
    Uscii dalla doccia, mi asciugai in fretta e mi rivestii. Tornando in salotto accesi il televisore, tutto sembrava normale. Schiacciai il pulsante del televideo per leggere le notizie delle ultime ore:
    “Bush e Blair pronti a colpire Baghdad…”
    “Fuori pericolo i dieci intossicati dallo squilibrato yemenita nella metropolitana di S. La bomboletta spray, come è stato appurato, conteneva una miscela di gas tossici non letali…”
    “Black-out colpisce S. e gran parte dell’interland. Vandali in azione in molte zone periferiche…”
    Il black-out quindi c’era stato, non era un prodotto della mia fantasia. E la crisi isterica di Lisa? Carezzandole lievemente i capelli cercai di svegliarla.
    “Lisa?! Ehi mogliettina, ti ho preparato un caffè, sveglia!” le sussurrai all’orecchio.
    Aprì gli occhi e ciò che vidi mi colpì con la violenza di un montante da knock-out. Il suo sguardo era simile a quello degli zombie visti o sognati (chi poteva ancora dirlo?) la notte appena passata. Scossi la testa. No, era solamente un’impressione.
    “Buongiorno Alex! Mi sa che abbiamo esagerato stanotte!”
    Esagerato… già, evidentemente avevo davvero bevuto troppo ed avevo vissuto in un film creato dalla mia mente.
    “Ma… a che ora sei rientrata ieri sera dal lavoro?” indagai.
    “Come sempre alle ventuno e trenta. Perché?”
    “Non sei stata trattenuta fino tardi dalla polizia, vero?”
    “Che dici?! Devi aver fatto strani sogni stanotte. Sicuramente ci è scappato qualche calice di troppo.”
    “Già già!” feci io perplesso.
    Mezz’ora più tardi, mentre Lisa era sotto il gettito vigoroso di una doccia tonificante, la avvertii che sarei uscito a fare un po’ di spesa.
    “Io vado Lisa, ci vediamo più tardi!”
    Stavo per chiudermi la porta dell’ingresso alle spalle quando mi sentii chiamare. Lisa era in accappatoio, un asciugamano a mo’ di turbante sulla testa; aveva ancora occhiaie profonde, occhi spenti, colorito pallido.
    “Fai presto che voglio contagiarti.”
    “Come?” chiesi allarmato.
    “Voglio farti impazzire a letto… che avevi capito?”
    “Niente, niente. A dopo.”
    Ciò di cui avevo cercato conferma tra le mura di casa mi apparve in tutta la sua drammatica e venefica evidenza pochi attimi dopo, per le strade di S. Non c’era scampo. Il virus del silenzio stava dilagando.

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