giovedì 29 dicembre 2011

MOSCHE

Datato 2004, questo brevissimo racconto lo scrissi di ritorno da una poco esaltante esperienza di animatore turistico (sic) nel Salento. Lo ripropongo qui rivisto e corretto.


MOSCHE 

Laura si stava godendo una tiepida giornata di fine maggio sotto il sole, nella sua villetta al mare di San Cataldo, a pochi chilometri da Lecce. Si abbronzava in topless, esibendo un corpo sinuoso e particolarmente eccitante ai pochi passanti che avessero più o meno casualmente buttato lo sguardo oltre le sbarre di ferro del cancello che dava sul giardino.
    Era venerdì pomeriggio e Laura rilassava le sue grazie nell’attesa che venisse sera. Aveva infatti organizzato un party tra amici, lì nella villetta acquistata pochi anni addietro dal padre, personaggio legato ad ambienti malavitosi ma dalla facciata più che rispettabile, sindaco di Lecce da due mandati.
    Per quella sera erano attesi Corinna, Fulvio, Mario, Manuele, Francesca, Cosimo, Antonio e Piero, il ragazzo di Laura. Piero sarebbe arrivato a momenti, portando con sé una scorta di cocaina tale da ricoprire di dune l’intero giardino, quel giardino in cui ora la ragazza giaceva supina e sorridente.
    Ad un tratto Laura sentì un formicolio sul capezzolo destro: c’era una mosca che sgambettava allegramente. La scacciò con la mano, ma dopo pochi istanti tornò a posizionarsi nello stesso punto. La ragazza ripeté il gesto e la mosca volò via andando a posarsi sulla coscia sinistra. Con un impercettibile movimento di gamba la fece volar via nuovamente. L’importuna mosca continuò a tormentarla per diversi minuti, fino a quando, esasperata, decise di rientrare in casa a fumare una sigaretta di marijuana.
    Quando ritornò alla sdraio le mosche erano almeno cinque. Una le si posò vicino all’ombelico e quando Laura alzò la testa per guardarla le parve che quel minuscolo insetto la stesse fissando divertito. Pensò che la marijuana stava distorcendo le percezioni. Chiuse gli occhi. Quando li riaprì c’erano cinque mosche che suggevano avidamente attaccate al capezzolo destro e altre sette o otto a quello sinistro. Un piccolo sciame svolazzava e si posava a turno sulla zona inguinale. Spaventata, Laura si alzò in piedi sparpagliando il nugolo di ditteri.
    “Che brutte allucinazioni mi dà sta canna” disse ad alta voce tornando a rifugiarsi in casa.
    Bevve un sorso d’acqua dal rubinetto, si sciacquò la faccia e tornò in giardino. Di mosche pareva non esserci più traccia, così la giovane si coricò di nuovo nell’attesa di veder comparire Piero.
    Trascorsero alcuni minuti e le mosche tornarono all’assalto. Ora erano almeno una trentina che sparse su tutto il corpo le succhiavano il velo di sudore. Laura si persuase che non era un’allucinazione e scappò in casa con l’intenzione di rimanerci, ma le mosche la seguirono. Per scacciarle fece un movimento scoordinato e andò ad inciampare nel tappeto indiano sbattendo la testa sullo spigolo del tavolino. Svenne.
    Mezz’ora più tardi Piero suonò al campanello. Vedendo la porta dell’ingresso aperta e Laura che non rispondeva scavalcò le inferiate ed entrò. La ragazza era distesa sul tappeto completamente nuda, le mutande appallottolate in un angolo della sala. Piero le si avvicinò e le tastò il polso: era morta.
    Il giorno dopo i giornali locali e nazionali, nonché i notiziari televisivi annunciarono che una ragazza della Lecce bene era stata violentata e uccisa nella sua villetta di San Cataldo. I violentatori, che non avevano lasciato traccia alcuna, dovevano essere almeno una quindicina.
    “Forse si tratta di una vendetta nei confronti del padre, sindaco di Lecce. E’ probabile che la Sacra Corona Unita gli abbia voluto far pagare la sua cristallina condotta di amministratore locale” disse il conduttore di un tg nazionale, mentre una mosca burlona gli si infilava in un orecchio facendogli compiere spassosissime evoluzioni in diretta.

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