sabato 24 dicembre 2011

SBRONZE ROAD

Non posso nasconderlo: questo racconto è fortemente influenzato dalla lettura di "Paura e disgusto a Las Vegas", il libro di Hunter S. Thompson da cui è tratto il forse più noto film con Johnny Depp e Benicio Del Toro. All'epoca, quando lo scrissi, provavo anche una forte attrazione per la beat generation e una certa cultura americana; se a questo aggiungiamo che vivevo un periodo di grande irrequietezza (con annessa un'estrema voglia di fuga) e non disdegnavo l'assunzione di qualche droghetta, ecco che salta fuori il polpettone che potete leggere qui di seguito. 


SBRONZE ROAD

 Sdraiato sul letto, giocherellavo con la Magnum Smith & Wesson comprata al mercato nero l’altr’anno, convinto che il confine tra la vita e la morte fosse una linea sottile che in quel momento passava attraverso la canna di una pistola. Era già successo altre volte che mi puntassi quel freddo tubo d’acciaio alla tempia e in più di un’occasione solo una forza misteriosa – che non era di certo l’attaccamento alla vita – mi aveva fatto desistere dal concretare quell’ultimo, definitivo clic.
    Squillò il telefono mentre con la Magnum stavo mirando al poster con il volto di un Timothy Leary devastato dalla vecchiaia e dall’lsd appesa al muro di fronte a me.
    “Bud! Ho fatto tutto: prenotazione volo, biglietti, un itinerario approssimativo… vai che tra poco si parte!” mi riferì dall’altro capo del filo Weiser.
    Dopo anni di duro lavoro senza via d’uscita alla “Melotti Metalmeccanica” , il coast to coast programmato negli States  era sicuramente tutt’altra cosa rispetto al clic finale spesso fantasticato; valeva proprio la pena spendere ogni risorsa economica, fisica e mentale prima di giungere ad una conscia e affascinante ripartenza.
    Io e Weiser abbiamo lavorato nella stessa lurida fabbrica per più di dieci anni e nel tempo ci siamo legati in uno strano rapporto simbiotico, a tratti ambiguo agli occhi degli altri colleghi e amici. Quando gli proposi l’idea del viaggio on the road negli USA ci bastò uno sguardo per intenderci sul meraviglioso epilogo che avrebbero avuto queste ferie. Non è facile da spiegare (e neanche ci tengo) ma io e il mio compagno AVEVAMO CAPITO.
    Siamo così partiti da Milano destinazione New York. Giunti nella Grande Mela ci siamo imbarcati su un volo per Los Angeles: volevamo compiere l’attraversata da ovest a est, facendo prima qualche fermata nei luoghi e nelle città della California che mi avevano da sempre incuriosito per essere stati fonte di ispirazione di grandi autori del passato come Fante, Henry Miller, Bukowski, Kerouac: Bunker hill, Big Sur, San Francisco furono alcune tappe.
    Percorremmo le pionieristiche strade americane un po’ in autostop, un po’ in Greyhound e un po’ in treno; noleggiammo anche un paio di automobili e delle moto. Viaggiammo per l’immenso sogno americano attraverso Salt Lake City, Denver, Des Moines, Chicago, Cleveland, fino a Nuova York. Impiegammo un mese per fare tutta quella strada, sostando a volte in squallidi motel, a volte in lussuosi alberghi, o fermandoci in certe occasioni a passare le notti all’addiaccio; finché non siamo giunti al grande giorno, oggi!
    Prima di partire da San Francisco avevamo fatto una scorta di birra, vino e whisky non indifferente e avevamo speso il totale di ben tre stipendi a testa della “Melotti Metalmeccanica” per acquistare cocaina, lsd, funghi allucinogeni, marijuana, extasy, popper ed eroina.
    “Grazie Hunter Thompson!” gridai al cielo prima di chiudere tutto quel ben di dio in una insospettabile sacca da turista italiano itinerante.
    Abbiamo provato emozioni ed esperienze nuove in quest’ultimo mese. Ad Austin, nel Nevada, facemmo un’incredibile orgia con dieci prostitute in una piccola pensioncina caratteristica degli Anni Cinquanta; a Davenport, al confine tra Iowa e Illinois, osammo l’adrenalinica sensazione di rapinare un minuscolo supermercato. Per l’occasione avevamo comprato passamontagna e pistole giocattolo e tutto filò liscio. Regalammo poi i novecento dollari del bottino ad alcuni barboni di Chicago.
    Sempre a Chicago rischiammo di finire anzitempo la nostra avventura. Sulle rive del lago Michigan io e Weiser stavamo passeggiando tranquillamente; il problema era che eravamo completamente nudi, nonché strasaturi di alcol. Passammo un’intera giornata in carcere, poi, un ufficiale di polizia magnanimo ci rilasciò, pensando forse che eravamo due semplici stupidotti italiani goliardici.
    A Cleveland compimmo la pazzia più grossa di tutto il viaggio. Ci imbattemmo qui in una ben organizzata manifestazione del Ku Klux Klan. Non c’erano molti partecipanti, ma il servizio d’ordine era imponente. Mischiati tra il folto gruppo di contestatori antirazzisti, assai più consistente di quello dei simpatizzanti xenofobi, lanciammo due bottiglie molotov, una delle quali centrò in pieno viso il guru del KKK ustionandolo gravemente. Dal parapiglia che scaturì conseguentemente, riuscimmo a defilarci senza problemi.
    In una lugubre cittadina della Pennsylvania, il cui nome ora mi sfugge, esaurimmo la scorta di droghe. Ci trovavamo in un desolato motel e Weiser sembrava ridotto proprio male. Durante la notte si era svegliato in preda al panico: aveva assoluto bisogno di eroina ma l’ultima pera me l’ero fatta io qualche ora prima, così uscì di casa e rientrò due ore più tardi insieme ad una prostituta di colore e con una nuova carica di ero nelle vene. Fottemmo la ragazza uno alla volta, dopodiché la liquidammo con il triplo di denaro che ci aveva chiesto per la prestazione. Ci ringraziò con un pompino extra.


Questa sera, la sera del trenta agosto, siamo giunti alla meta. Siamo a New York. Abbiamo affittato la suite più lussuosa di un noto hotel della città e non appena siamo entrati nella stanza 2025 io e Weiser ci siamo guardati negli occhi.
    “Ci siamo” ho detto io con voce strozzata dall’emozione.
    “E’ stato bellissimo Bud!” è intervenuto l’amico, “ABBIAMO CAPITO, non è vero?”
    “Sì Weiser. E’ ora di festeggiare. Siamo alla FINE.”
    Ci siamo scolati le tre birre rimasteci e l’ultima bottiglia di whisky lasciandoci blandire dal tramonto che sfumava i colori come in una cartolina e si apprestava a mischiare ad esso due anime finalmente emancipate dal dominio della Materia. Weiser mi ha preso le mani e mi ha baciato. Abbiamo fatto l’amore una, due, tre, quattro volte. Mentre dorme qui accanto di un sonno rilassato ho deciso di buttar giù queste righe; per chi o per cosa non lo so, però dovevo farlo.
    L’ho svegliato; fuori già comincia ad albeggiare. Ci siamo rivestiti, ho messo in tasca questi fogli e ora saliremo sul tetto dell’edificio, al ventesimo piano.


Prima di far calare il sipario vorrei solo dire agli amici, ai conoscenti, a chi rimane e leggerà il resoconto del Grande Epilogo, che mentre mano nella mano stiamo osservando i minuscoli uomini che da poco svegli si stanno accingendo ad iniziare, laggiù, una nuova giornata nel mondo dei vivi, Bud e Weiser si stanno sbellicando dalle risate come due pazzi. Ormai come due angeli.


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